Discorso della montagna - la nuova legge

Il discorso della montagna inizia con le beatitudini che mettono soprattutto in chiara evidenza l’atteggiamento pratico di chi accoglie la parola del Signore e ne fa la propria missione, e chi invece respinge l’invito: “ Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli, chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli .” (Mt. 10,32-39)
Quando si risponde alla chiamata e si accoglie la parola, si viene a creare un nuovo dinamismo spirituale il “ Regno di Dio si fa presente ” e ciò comporta inevitabilmente delle conseguenze. Gesù nel discorso della montagna istruisce sul modo in cui deve essere disposto il nostro cuore finché possa operare in modo concreto e si possa realizzare quello che è il fine ultimo dell’uomo, “ essere a lode e gloria di Dio ” .
Gesù annuncia una nuova giustizia, una giustizia che non abolisce la legge e i Profeti; “Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). Una nuova giustizia che deve superare quella degli scribi e dei farisei, e porta degli esempi annunciando così le sei antitesi: “avete inteso che fu detto… ma io vi dico…..” Sono tutti precetti morali, regole che esprimono e manifestano divieti, limiti da non oltrepassare, ma non è solo questo. Ad una lettura più attenta risultano chiari alcuni criteri circa la strada da intraprendere per realizzare concretamente uno stile di vita evangelico nel pieno rispetto e in relazione con il prossimo. Gesù spiega che il “prossimo”, è ogni uomo, anche il nemico. Si apre la strada all’amore totale di Dio.
Si parla di una nuova legge, una legge interiore scritta nel cuore.
Gesù non si occupa del legalismo religioso e delle tradizioni antiche, ma pone l’accento sulla responsabilità interiore dell’uomo di fronte a Dio e allo Spirito Santo.
Gesù non vuole che si contraccambi il male con male, ma che il male venga vinto con il bene, non più “ occhio per occhio ”, … “ Ma tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro ” (Mt. 7,12- Che corrisponde alla “regola d’oro” ).
Già nell’Antico testamento si ritrova un insegnamento simile, il vecchio Tobia dice al figlio “Non fare a nessuno ciò che non piace a te ” (Tob. 4,15), ossia non fare al prossimo ciò che non vuoi sia fatto a te. Gesù amplia la regola: il discepolo non deve solo accontentarsi semplicemente di astenersi dal compiere il male, ma deve concretamente compiere il bene.
L’amore di per sé diventa legge d’amore per il prossimo, che è anche amore per il nemico.
In diverse parti del vangelo Gesù mette in evidenza che conoscenza del bene e del male è presente in ogni uomo, e in base a questo criterio ogni uomo verrà giudicato.
Anche nel testo di Paolo è chiara questa la conoscenza, infatti scrive: “ Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori ” .
Nel resto del capitolo Paolo mostra che sia il pagano, il giudeo che il cristiano fanno capo allo stesso ordine morale e quindi il risultato è che la distinzione tra bene e male è insita nella natura stessa dell’uomo, e che le opere buone dei pagani adempiano alle richieste stesse della legge: “ Essi sono leggi a se stessi ” (Rom. 2,14), agiscono cioè secondo la loro coscienza senza l’aiuto di una legge positiva rivelata.
Ne risulta che la legge di Dio è scritta nel cuore dell’uomo in ordine alla creazione da parte di Dio stesso, e questa legge viene fatta conoscere all’uomo per mezzo della ragione e della coscienza; la legge naturale è la legge di Cristo.
L’uomo quindi può discernere ciò che è bene da ciò che è male mediante la sua ragione illuminata dalla rivelazione divina e dalla fede.
Il Concilio Vaticano II afferma: “ Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male ”
La ragione è sempre influenzata e guidata dalla grazia e dallo Spirito Santo, e nel caso dei non cristiani, la grazia opera ugualmente anche se in modo nascosto. Dio parla nel santuario della coscienza, e un’anima che vive secondo i dettami del cuore, vive già in unione con Cristo, pur non avendone avuta alcuna esperienza, e può essere ugualmente strumento di Cristo pur non avendone consapevolezza. Basta pensare alla figura di Ciro (Isaia 45,1).
Ciro non conosce Dio, ma Dio conosce Ciro, e vuole che Israele lo riconosca come strumento della sua azione.
Con la redenzione di Cristo non esiste più una natura priva della grazia, e tutti gli uomini hanno solo ed unico fine ultimo, quello divino.
Non si pone quindi nessuna differenza fondamentale tra l’etica naturale e l’etica cristiana, in quanto tutti gli uomini di buona volontà sono riconciliati in Cristo. Esiste però un elemento che deve essere preso in altissima considerazione per una più piena conoscenza della natura umana e del suo fine ultimo e quindi della legge morale, ossia “ la fede ”.
E’ nella fede che ritroviamo gli elementi essenziali del cristianesimo; e per poter discernere le ispirazioni che vengono da Dio è necessario sviluppare la fede in ordine ai differenti carismi che si manifestano in una comunità e nella Chiesa stessa.
In 1Cor. 2,14 Paolo scrive: “L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio, esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito Santo ”. Il termine della legge nuova è Cristo, la legge della croce.
E’ una legge che non può venire accetta direttamente dalla ragione umana, e non si può dimostrare prescindendo da Cristo. La ragione la rifiuta, finché l’uomo non si decide per la “ “fede”. Mediante la fede, Gesù abita nel cuore dell’uomo, il Regno di Dio si manifesta, e questo è il frutto della grazia, e della presenza dello Spirito Santo.
Secondo S. Paolo, la coscienza pone inevitabilmente l’uomo di fronte alla legge. La coscienza diventa testimone della bontà o della malvagità dell’agire dell’uomo, creando così quell’obbligo morale a cui l’uomo non può sottrarsi, deve agire in conformità al giudizio della prorpia coscienza.
L’agire quindi risulta moralmente buono, quando le scelte della persona sono conformi al fine ultimo, cioè Dio stesso, il bene supremo nel quale l’uomo può trovare la sua piena felicità.
Il legame tra il valore di un’azione moralmente buona e il fine ultimo è chiarito nel colloquio del giovane che domanda a Gesù: “Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?” (Mt 19,16). Gesù risponde: “ Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti ” (Mt 19,17).
Comandamenti che non limitano o eliminano la libertà dell’uomo nel suo agire, ma la contrario la libertà dell’uomo e la legge di Dio interagiscono, perché solo in una piena libertà l’uomo è in grado di compiere il bene. “La verità vi farà liberi ”.